Antonio Marras, un artista irrequieto

Inquietante. Ossessiva. Meravigliosa.

La mostra Antonio Marras. Nulla dies sine linea. Vita, diari e appunti di un uomo irrequieto alla Triennale di Milano dal 21 ottobre 2016 al 21 gennaio 2017 è un’esperienza che non può lasciare indifferenti.

Ingresso della mostra

Già dal titolo, che si ispira alla celebre frase di Plinio il Vecchio riferita al pittore Apelle che “non lasciava passar giorno senza tratteggiare col pennello qualche linea”, si intuisce la volontà dello stilista di far conoscere la sua urgenza creativa, l’arte senza la quale non gli è possibile trascorrere nemmeno un giorno della vita, quel desiderio di “mostrare una parte di me sconosciuta fino ad oggi”, come lui stesso dichiara. Un’anatomia dell’irrequietezza dell’uomo Marras, protagonista qui, che per una volta mette in ombra il celebre stilista osannato sulla scena della moda internazionale. Niente abiti da lui disegnati, infatti, né retrospettive più o meno fashion.

Varcando la soglia e attraversando i due “muri” di camicie appese a dei fili dai quali pendono anche dei campanacci che ricordano tanto le greggi della sua amata Sardegna, Marras ci fa entrare nel suo universo onirico (non a caso, le camicie sono appese a strutture di vecchi letti in ferro), chiedendoci di abbandonare ogni legame con la realtà, pronti a lasciarci andare alla dimensione del sogno.

Prima installazione all'ingresso della mostra

Il percorso lineare della lunga sala immersa nella penombra è inframmezzato da isole-installazioni illuminate da luci puntuali che si susseguono al centro l’una dopo l’altra, senza un filo logico, come sogni che incalzano e si rincorrono nel subconscio di una mente addormentata. La colonna sonora fatta di suoni, voci, stralci di musica, aiuta a immergersi in un’altra dimensione in cui tutto è confuso, indistinto, galleggia sulla superficie dell’inconscio, sensazioni che si mescolano aggrappandosi ai ricordi. Passeggiando nella semioscurità, l’infanzia di Marras, i continui riferimenti alla sua terra, al suo passato, diventano pian piano archetipi antichi che si inframmezzano ai ricordi della mia infanzia, dell’infanzia di tutti, che riemergono trasformandosi e deformandosi.

Un'installazione

Quello di Marras è un sogno d’infanzia sinistro, che disorienta perché presenta una realtà amputata della bellezza, una sorta di “insane beauty”. La favola di Marras è una fiaba ancestrale, di quelle che spaventano i bambini, trasformati in animali di pezza dai lunghi arti seduti in una vecchia classe. La ripetizione, l’enumerazione, contengono una certa infantile primitività: i grembiulini ordinatamente appesi fuori dall’aula esprimono un’ossessività quasi maniacale, che tutto ha tranne la vitalità della fanciullezza. Tutto sembra arrestarsi in simboliche nature morte, dai significati reconditi, come le alzate cariche di fiori e calchi di dentiere che ci mostrano l’infanzia come riflessa negli specchi deformanti di un carrozzone da circo.


Interno dell'installazione che ricrea un'aula di scuola

Esterno dell'installazione che ricrea un'aula di scuola

In un’altra isola, tre incubatrici accolgono ognuna un quaderno degli appunti dello stilista, che è possibile sfogliare indossando i guanti in lattice a disposizione e inserendo mani e braccia negli oblò: tutta la mostra è pervasa dall’idea dell’arte come bambino prematuro, aborto o feto nato morto, bimbi come creature inquietantemente fantastiche.

Una delle incubatrici

Quello di Marras è un incubo arcaico, un sogno dal quale non vedevo l’ora di svegliarmi, un viaggio sott’acqua dal quale desideravo riemergere, in cui corpi costantemente allungati con arti che si estendono a dismisura – come statue di Giacometti – mi trascinavano ancora più nell’abisso. Alle pareti, si scorgono degli ex voto, forme di devozionismo popolare; quadri, rielaborazioni, schizzi, bozzetti, collage. E poi porte, porte, porte. Vecchie porte ovunque, finestre dalle quali affacciarsi a realtà talmente umane da aver perso qualsiasi umanità, pertugi, tende dalle quali spiare una stanza-boudoir vietata ai minori in cui perdersi a spiare le ossessioni più intime.

Installazione con corpi appesi

Se la mostra avesse un odore, sarebbe di incenso misto a polvere misto a sangue rappreso, quel lato salino-dolciastro del sangue. L’odore dei ricordi…





Sara Radaelli

Sito della mostra




Foto scattate dall’autrice dell’articolo.